STUDER A812: Giù il cappello...
… davanti a quello che a buon diritto si può definire una delle più belle espressioni della tecnologia nel campo della registrazione audio analogica.
La macchina
Cominciamo subito chiarendo una cosa: questa NON è una macchina per un audiofilo “classico”. Se siete uno di quelli che amano cambiare i cavi credendo di stravolgere il loro impianto, se vi piace pensare che una punta o un pezzo di legno possano modificare il suono che esce da quelle due scatole di legno che avete in mezzo al salotto, se ritenete indispensabili costose ciabatte, magici liquidi di pulizia diversi dai legittimi acqua e sapone o se togliete le chiavi di tasca e le riviste da sopra l’amplificatore quando ascoltate il vostro impianto… allora lasciate perdere questo genere di oggetti: non fanno per voi.
Se invece vi interessa un registratore analogico, pensato e voluto per memorizzare su nastro magnetico e riprodurre nel modo più fedele possibile un segnale audio, e costruito in modo da farlo a lungo e con la massima affidabilità, allora mettetevi subito a caccia perché questo oggetto (ma anche uno dei suoi “fratelli” minori) potrebbe essere esattamente quello che state cercando da sempre.
Messi i puntini sulle “i”, possiamo cominciare a prendere in considerazione questo esemplare prodotto del genio svizzero che porta il nome di “Studer A812”.
Un operatore seduto di fronte alla console ha
tutti i pulsanti a portata di mano: i polsi appoggiano su un bordo
rivestito in pelle (sintetica ?) ed i vu-meter si trovano
esattamente all’altezza degli occhi. Anche stando in piedi tuttavia,
a meno che non siate alti due metri, l’ergonomia non ne soffre
molto. Del resto, se nell’uso professionale chi faceva un montaggio
poteva passare anche le ore a tagliare e giuntare i nastri, l’uso
domestico richiede di interagire con lo Studer solo per i pochi
secondi necessari al montaggio della bobina ed alla pressione dei
pulsanti di rec o play, quindi… nessuna scomodità reale.
Dopo averlo esaminato ben bene da fuori, è giunto il momento di guardarci dentro. Apriamo lo sportello del rack principale che contiene tutta l’elettronica audio (ben 13 schede), quindi togliamo le viti che fissano la parte inferiore del carrello e rovesciando la ribaltina possiamo mettere a nudo anche le quattro schede della logica di controllo e gestione del trasporto del nastro. Ecco lo spettacolo che ci si presenta:
Osservando le schede si nota subito che è stata usata componentistica di prim’ordine e che i vari PCB sono tutti in vetronite doppia faccia, con tanto di solder resist di protezione. Tutti i circuiti integrati (centinaia) sono montati su zoccolo per una rapida sostituzione in caso di guasti, i connettori usati sono robusti ed affidabili, i cablaggi sono ordinati e disposti in modo da semplificare l’accesso e la rimozione di tutte le schede e di tutti i vari moduli accessori. Praticamente, una pacchia per chi deve fare assistenza tecnica e non gradisce ritrovarsi tra le mani i terrificanti grovigli di fili e incastri che infestano i RTR consumer giapponesi, anche quelli migliori.
Sotto alla meccanica si trovano tutte le schede che provvedono a gestirla. I motori sono in corrente alternata, alimentati da tre generatori trifase controllati da microcomputer: un 68HC03 si occupa della gestione dei due motori delle bobine, mentre quello del capstan ha un secondo 68HC03 che implementa un PLL digitale in grado di far marciare il nastro a qualsiasi velocità si desideri, e non solo alle quattro "canoniche", tramite il comando varispeed. Il riferimento del PLL, che determina la precisione globale delle velocità, è ovviamente ricavato dal clock di sistema quarzato.
Il rack in basso contiene invece tutta la sezione audio e la relativa logica di controllo, affidata anch'essa ad un 68HC83. L'elettronica di ogni canale è suddivisa in 4 schede: amplificatore di linea, registrazione, riproduzione e generatore della corrente di bias. Tali schede sono più assimilabili ad interfacce di computer che a normali amplificatori analogici, in quanto tutti i parametri operativi sono regolati non tramite i soliti trimmer ma con dei convertitori D/A che agiscono come resistenze variabili, sotto il controllo del microprocessore.
L’ordine interno di questo oggetto non deve trarre in inganno. La macchina non è affatto semplice, anzi è complicatissima e le foto ne rendono solo una pallida idea: gli schemi elettrici occupano decine e decine di pagine del manuale di servizio, e questo ha le dimensioni di un volume da enciclopedia. Chi ha avuto occasione di aprire un registratore consumer si chiederà a cosa serva tutta questa elettronica; presto detto: unita ad una meccanica di primissimo ordine ed a testine in grado di gestire un flusso magnetico dieci volte superiore a quello dei consumer di cui sopra, serve ad avere delle prestazioni globali di assoluta eccellenza, inavvicinabili da qualsiasi apparato domestico. A questo si aggiunge la totale controllabilità di qualsiasi parametro operativo della macchina da parte dell’operatore: configurazione e funzione dei comandi, velocità di avvolgimento e tensione del nastro, bias, equalizzazioni, livelli, qualsiasi parametro operativo è tenuto sotto controllo da uno dei numerosi microprocessori disseminati per ogni dove, e può essere facilmente modificato dall’utente tramite il display e la tastiera posti sul lato destro del deck. Vogliamo calibrare la macchina per usare un nuovo tipo di nastro ? Niente trimmer da girare; basta premere un po’ di pulsanti e sul display appare il valore della corrente di bias che può essere modificato separatamente per i due canali, memorizzato e riutilizzato in futuro. Il riavvolgimento veloce va troppo… veloce ? E allora con altri due colpi di tastiera comunichiamo al sistema la nostra velocità preferita, direttamente in metri al secondo. E via dicendo.
L’effetto sul suono è sorprendente: si dice spesso che un registratore “ha un carattere”, intendendo con questo che altera in un determinato e riconoscibile modo la timbrica globale. Beh, questo oggetto il “carattere” NON CE L’HA: anche ascoltando con estrema attenzione, risulta praticamente impossibile distinguere tra il segnale in ingresso ed il tape monitor durante una registrazione; quello che esce ha esattamente la stessa timbrica di quello che entra, fino nei minimi dettagli. Solo un leggerissimo soffio di fondo, appena avvertibile nelle registrazioni da sorgente digitale e nei passaggi più bassi, tradisce la presenza del supporto magnetico nel percorso del nostro segnale. Perfetto ! E se per caso volessimo “colorare” il suono della macchina, ci basterebbe aprire di nuovo lo sportello che nasconde il terminale di configurazione, e potremmo modificare la risposta in frequenza a nostro piacimento: una riscaldatina in basso, un po’ di sprint in alto… ok, così si manda a ramengo il concetto di hi-fi, ma nulla vieta di giocare un po’, soprattutto se per tornare indietro alla taratura ottimale basta avere annotato su un pezzo di carta i valori originali dei parametri.
Sotto al contatore, si trova la rotella dello shuttle: con questa si controlla manualmente la marcia del nastro, a velocità variabile in entrambe le direzioni, per la ricerca dei punti in cui effettuare i montaggi. Una volta localizzato il punto di taglio, premendo il pulsante rosso sul gruppo testine si aziona la taglierina che taglia il nastro con l’angolo corretto; la giunta viene poi facilitata dalle guide in alluminio in cui è possibile inserire i due spezzoni di nastro e rifilare il nastro adesivo con la massima precisione. Pochi secondi e la giunta è fatta, provare per credere.
L'ascolto
Adesso però esce dalla scatola una bobina da 27 cm: è una copia diretta dal master originale di produzione dello stesso album; il nastro – per capirci - con cui venivano alimentati i torni di incisione che creavano le prime matrici per la stampa dei vinili. Carichiamolo sullo Studer, regoliamo i livelli di playback sul tono pilota all’inizio, e mettiamoci in ascolto.
Fin dalle prime battute è evidente che stavolta la dinamica c’è, e ci sono pure i bassi e i medio-bassi che rendono reale il suono. La batteria che accompagna “The happiest days” fa tremare il vetro della finestra, l’elicottero atterra in salotto in mezzo alle casse e spazza via i soprammobili dal tavolino (scusate, sto usando le iperboli dei recensori veri… ), Waters – in un attimo di pausa – si prende un cioccolatino dal vassoio e riprende a cantare con più forza di prima. Scherzi a parte, stavolta il suono è impressionante e dinamico, vivo ed esteso agli estremi della banda udibile, nulla a che vedere con quello strozzato e compresso del CD che si è improvvisamente rivelato una sonora (è il termine più appropriato, suppongo !) fregatura.
Perché questa differenza ? Possiamo solo ipotizzare che in fase di digitalizzazione, la gamma bassa sia stata intenzionalmente compressa e attenuata per fare in modo che il risultato finale potesse suonare in modo accettabile anche su riproduttori di bassa lega con scatole da scarpe al posto dei diffusori. Ma questo ha letteralmente distrutto l’opera originale, l’ha scolorita e massacrata al punto da renderla irriconoscibile, un pastone uniforme e senza sapore.
Alla fine del primo nastro (4 bobine in tutto: una per ogni facciata dei due LP) andiamo a stringere la mano a Waters che aspetta in piedi in mezzo alla stanza, e lo riponiamo nella sua custodia per passare ad una prova di registrazione da CD e SACD.
Proviamo adesso a caricare in macchina una bobina di RMGI SM900 e registrare con brani di vario genere: classica (VI e IX sinfonie di Beethoven da SACD), jazz (raccolte varie SACD); voce femminile pop (Fiorella Mannoia e Toni Braxton), voce maschile (diabolico Mark Knopfler), musica sacra (il famigerato “Cantate Domino). Neutralità assoluta: sembra che la macchina non ci sia, che il segnale passi direttamente dal player all’amplificazione, al punto che più di una volta mi è venuto il dubbio di avere selezionato per errore la modalità source monitor. E invece no, stavo veramente ascoltando la registrazione appena fatta.
Per finire, un’ orchestra sinfonica moderna che suona il tema di Jurassic Park (CD Telarc): inizia in sordina e si conclude con una terrificante esplosione di grancasse in grado di mettere in crisi qualsiasi RTR consumer provato finora. Di solito le grancasse registrate su nastro distorcono o – in alternativa – l’inizio del brano viene coperto inesorabilmente dal rumore di fondo, ma stavolta non accade assolutamente niente di tutto questo: anche nel picco massimo di modulazione, quando le lancette dei vu-meter arrivano in fondo alla zona rossa, il suono è e resta pulito. Fantastico, e ancora più fantastico se si considera che il livello di magnetizzazione di 0VU in questa macchina NON è lo stesso di un consumer ma si trova circa 9-10 dB sopra: in altre parole, a parità di indicazione dei vu-meter le testine di questo registratore gestiscono una corrente (e di conseguenza un flusso magnetico) circa 3.5 volte superiore a quelle di un qualsiasi Akai o similare, e con distorsione molto minore. La dinamica disponibile sembra non finire mai.
La risposta in frequenza misurata dopo
attenta calibrazione è esemplare: a 38 cm/s ho rilevato
un’oscillazione inferiore a 0.5dB tra circa 50 e 22.000 Hz (0VU),
mentre se ci riferiamo ai classici punti a -3dB allora l’estensione
della risposta va da
Conclusione