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Dingo Famelico 2 - Il ritorno

 

E' passato parecchio tempo dalla pubblicazione della prima storia di "Dingo" Gianni, imbranato e sfigatissimo trafficante di apparecchi audio usati e scassati, così ho deciso che ci voleva qualcosa di nuovo. Stavolta la sua fame di apparecchi hi-fi e di denaro lo porta a cacciarsi in un guaio di grandi dimensioni, e grandi... in senso letterale. 

 

PreeeeEEEgo, saaalga, quaaaAAAArto pianooooo. La voce femminile strascicata che usciva dalla griglia accanto ai pulsanti dei campanelli era sicuramente quella che il giorno precedente gli aveva risposto al telefono.

Gianni attraversò il portone e si trovò in un cortile quadrato, circondato dalle mura interne del vecchio palazzo. La finestrella della guardiola era chiusa, probabilmente il portiere aveva deciso di concedersi una pennichella.

Fermo al centro del cortile, si guardò pensieroso intorno. Cinque livelli di ballatoio decoravano le facciate dall’intonaco ormai rovinato, una scala non molto grande ma dall’aspetto robusto saliva da terra fino all’ultimo piano e sembrava essere l’unica via di accesso ai vari appartamenti, le cui porte di ingresso si affacciavano su dei pianerottoli che dalle terrazze rientravano all’interno delle spesse mura. Salire al quarto piano non era un problema, sarebbe stato sicuramente più difficoltoso scendere portandosi in braccio quello che sperava sarebbe stato un ricco bottino.

Gianni, noto nei vari mercatini e siti di aste online come “Dingo Famelico”, era un trafficante – ma forse sarebbe più corretto dire “traffichino” – in apparecchi hi-fi usati e vintage. I suoi affari erano spesso molto vantaggiosi per lui e ben poco per il malcapitato cliente, che nella maggior parte dei casi scopriva di avere acquistato a caro prezzo un rottame riparato alla bell’e meglio dal bieco “Pastasalda”, il brufoloso quindicenne vicino di casa che per poche decine di euro riusciva a rimettere in funzione – di solito per tempi molto brevi – quasi ogni ferrovecchio che il nostro amico recuperava in mercatini e discariche, talvolta persino dai bidoni della spazzatura lungo la strada.

Oltre a rovistare tra i rifiuti, però, Gianni aveva anche un altro modo per procurarsi la merce con cui alimentava il suo commercio: ogni giorno esaminava con attenzione i vari giornali di annunci economici e le pagine dei necrologi, nella speranza di imbattersi in qualche addolorato parente di audiofilo appena deceduto che, ignaro del valore di quanto aveva lasciato su questo mondo il caro estinto, volesse solo sbarazzarsi di quegli ingombranti apparecchi che gli erano capitati tra capo e collo. Spesso e volentieri questo tipo di “caccia” gli permetteva di procurarsi oggetti di valore e in ottime condizioni, dai quali poi riusciva a ricavare cifre ben più importanti dei quattro soldi che gli poteva procurare la comune ferraglia.

Da alcuni mesi gli affari, complice anche la crisi, andavano abbastanza male; così quando gli cadde sotto gli occhi l’annuncio di vendita di un impianto di gran pregio, telefonare sig.ra Elvira ore pasti, ebbe un sussulto: forse era giunto il momento del riscatto, di rimpinguare l’ormai esausto conto corrente alle poste che probabilmente il mese prossimo non sarebbe riuscito neppure a pagare le bollette, di invitare a cena in quel ristorante del centro la formosa Elena, cugina di quello stupidotto di Pastasalda che però faceva tanto comodo, magari se fosse riuscito a conquistarsi i favori della ragazza poi avrebbe potuto tirare ancora un po’ sul prezzo delle riparazioni…

Immerso in queste edificanti considerazioni, “Dingo” quasi non si accorse di avere raggiunto il quarto piano e di essere sul pianerottolo proprio davanti alla porta dell’appartamento della signora Elvira. Suonò di nuovo il campanello, ding-dong, e dall’interno la solita voce miagolò un “EccomiiiiIIII…. arriiiIIIvoooo…  sovrapposto al rumore dei tacchi di una camminata goffa e pesante.

La donna che gli aprì la porta occupava quasi tutto il varco, ed era sicuramente uno degli esseri umani più vasti che Gianni avesse mai visto di persona. Alta quasi un metro e ottanta e con un peso che poteva aggirarsi sui centosettanta – centoottanta chili, indossava una specie di brutto grembiule grigio con disegnati fiori rossi e gialli e delle ciabatte rosa sformate; una massa di capelli grigi palesemente non curati da mesi incorniciava la faccia rotonda in mezzo alla quale troneggiava un naso sproporzionato sorretto da una evidente ombra di baffo da maresciallo in pensione. Il doppio mento poteva tranquillamente essere assimilato ad una tacchinesca pappagorgia, e gli occhi porcini emanavano una luce strana, quasi diabolica.

Si accoooOOOmodi, venga puuuUUUre dentro, sono sempre così sooOOOlaaa da quando il mio Armando se ne è andatoOOOooo…” tentò di cinguettare il donnone afferrando la mano di Gianni e trascinandolo dentro con uno strattone. Con un lesto colpo di piede chiuse la porta, e l’ingresso, privato della luce esterna, piombò nel buio di una misera lampadina da venti watt che tentava disperatamente di far vedere la propria esistenza affacciandosi da una ossidata e secolare  applique di bronzo.

Spinto dalle grosse mani della donna, Gianni si sedette sul divano di velluto verde che gli era stato indicato. A dire il vero, cominciava ad avvertire dentro di sé una strana sensazione di inquietudine, come una voce che tentava di dirgli di scappare via il più velocemente possibile. Per un attimo fu tentato di dare ascolto al proprio istinto e inventarsi una scusa improvvisata per andarsene, ma il pensiero del meraviglioso impianto hi-fi che sicuramente la signora Elvira gli avrebbe ceduto per quattro soldi gli fece mettere da parte in pochi secondi ogni perplessità ed esitazione. Osservò l’arredamento del salottino: tutti mobili risalenti agli anni sessanta o settanta al massimo, abbastanza ben tenuti e ricoperti di soprammobili di pessimo gusto. La finestra era nascosta da una pesante tenda colore avana, mentre un tappeto probabilmente un tempo di valore e ora buon ostello per pulci e acari ricopriva il pavimento di marmo lucido. Sopra il caminetto troneggiava una testa di cinghiale imbalsamata, e nell’angolo ticchettava placido un orologio a pendolo col mobile intarsiato. Nessun impianto hi-fi in vista, solo un vecchio televisore col mobile di legno appoggiato sul classico carrello con le classiche riviste di gossip sul ripiano sotto.

Un Campariiii… un amaaaAAArooo… un drinkiiIIIno, eh… non mi dica di nooOOOOooo…” stava muggendo l’Elvira, mentre riempiva un bicchiere di cristallo col contenuto di una polverosa e secolare bottiglia panciuta. Glielo cacciò in mano e si sedette accanto a lui; il divano cigolò tristemente ed ebbe un sussulto, poi si stabilizzò: evidentemente era abituato da tempo a sopportare l’animalesco peso.

“Dingo” sorseggiò il liquido rossastro senza ascoltare le chiacchiere della sua ospite, e decise che era giunto il momento di discutere del motivo della sua visita: “Signora, se non le dispiace vorrei vedere l’impianto hi-fi del suo povero marito, quello che intende vendere, sa, io sono pronto ad acquistarlo in blocco se ci mettiamo d’accordo sul prezzo e…”

Ma ceeEEErto, venga, è in camera da letto, al mio caro Armando piaceva tanto ascoltare musica mentre riposaaaAAAvaaa… andiamooOOOOoooo…

Come quello dell’ingresso, anche il lampadario a gocce di vetro della camera ospitava una lampadina troppo fioca per illuminare in modo accettabile la stanza, pur tuttavia Dingo si rese subito conto che non c’era alcun impianto hi-fi in vista, e neppure un mobile nel quale potesse essere celato. Il rumore della porta che si chiudeva fece suonare ancora più forte il campanello di allarme dentro la sua testa, e si girò appena in tempo per vedere la signora Elvira che iniziava ad aprirsi i bottoni del grembiule: “Prendimi amooooOOOOoore, sono tutta tuaaaAAAAAhhhhh…oggi  sarà un giorno meraviglioooOOOsoo”.

Per un millesimo di secondo Gianni rimase come paralizzato a metà tra l’incredulo e l’inorridito, poi dietro la spinta dell’enorme braccio che gli si era posato sulla spalla perse l’equilibrio e cascò lungo disteso sul letto coperto da un liso plaid a fantasia scozzese rossa e verde. Realizzò subito in che razza di guaio era andato a cacciarsi, e con uno scatto sorprendente rotolò sul lato opposto del letto proprio nell’istante in cui la signora Elvira, abbandonato il grembiule a terra, impattò sul punto ove si trovava lui un attimo prima. Il contraccolpo fece sollevare di scatto il materasso sotto Gianni, che venne lanciato  in aria per una ventina di centimetri. Ricadde sul letto, balzò giù con un colpo di reni che avrebbe sicuramente ricordato nei giorni successivi, e si mise in piedi di scatto lanciandosi verso la porta per fortuna non chiusa a chiave.

Anche Elvira, con una velocità impossibile per la massa spaventosa che si portava addosso, si alzò in piedi, ma non riuscì a controllare lo slancio e andò a sbattere con tutta la sua mole contro il cassettone destabilizzando la specchiera. Per un attimo lo specchio oscillò mantenendosi in equilibrio, poi pensò che finalmente era giunto il momento di smettere di riflettere ogni giorno lo spettacolo deplorevole della sua padrona appena alzata dal letto al mattino e cadde in avanti esplodendo in un tripudio di frammenti di vetro che si sparsero per tutta la stanza.  Incurante delle schegge vendicative che si erano proditoriamente infilate nelle sue pantofole rosa, Elvira attraversò il corridoio facendo tremare il pavimento e cercò di inseguire Gianni, che nel frattempo aveva già guadagnato la porta di ingresso e si era lanciato giù per le scale alla massima velocità che un essere umano poteva raggiungere con i propri piedi.

Passò come un fulmine davanti al portiere e al ragionier Casoria, appena rientrato da una lunga e noiosa giornata di lavoro, mentre Elvira, ormai conscia della inarrestabile e definitiva fuga della sua preda, si affacciava alla terrazza ululando “NON MI ABBANDONAREEEEEeeee, TOOOOORNA DA ME, AMOOOOREEEE MIIIIIiiioooooohhhhhh….ti voglioooooooohh…

 

-          Luigi, non mi dica, è successo di nuovo ?
-         
Eh ragioniere, a quanto pare… questa settimana è la terza volta.
-         
L’altro ieri è successo con l’idraulico, vero ?
-         
Sì, ha rotto apposta lo scarico del lavandino, poi ha chiamato l’idraulico e…
-         
Anche l'idraulico...
-         
Scappato di corsa, urlava. Pensi che poi ha chiamato me per sistemare il tubo, si stava allagando tutta la cucina.
-         
Non mi dica che anche con lei…
-         
No, ma un paio di volte l’ho dovuta minacciare con la chiave inglese.
-         
Da quando il signor Armando non c’è più…
-         
Già, da quando non è tornato quella sera dopo il lavoro.
-         
Si sa niente di lui ?
-      
Sì, ho ricevuto una cartolina dal Costarica, sta bene, ma stia zitto mi raccomando, nessuno deve sapere.
-         
Speriamo che si calmi presto… ieri ha urlato sulla terrazza fino all’ora di cena.
-         
Qualcuno dovrebbe fare qualcosa… mah… a domani, Luigi.
-         
Buona serata, ragioniere. E stia attento quando passa per il quarto piano, non si sa mai.

 Il cuore di Gianni batteva al ritmo dei pistoni di una locomotiva a vapore in piena corsa. Con gli occhi fuori dalle orbite e la lingua a penzoloni si fermò seduto a terra, appoggiato a un lampione, sperando di essere abbastanza lontano da quella casa e dal mostro abominevole che la occupava. Pianse sommessamente tremando, e un passante impietosito gli posò davanti una moneta da un euro. Dopo aver ripreso fiato si rimise in piedi e si incamminò lentamente verso casa, ancora con le lacrime agli occhi. Per svariati minuti gli sembrò che il vento, passandogli addosso, sibilasse “non mi abbandonaaaaaare, torna da meeeeeee…..

 

 

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