Capitolo 1 - Le origini
La registrazione magnetica del suono nasce
ufficialmente nell’anno 1898 ad opera dello scienziato danese
Valdermar Poulsen, che brevettò un apparato a cui dette il nome di
Telegrafono (Telegraphon). Il Telegrafono era costituito da un
cilindro sul quale era avvolto a spirale un filo d’acciaio; quando
il cilindro veniva messo in rotazione attraverso una manovella, una
primordiale testina magnetica inseguiva l’avvolgimento di filo
guidata da un meccanismo a vite senza fine e provvedeva a
magnetizzare il filo in modo proporzionale al segnale elettrico
prodotto da un microfono a carbone. La riproduzione avveniva facendo
nuovamente percorrere alla testina l’intero rocchetto di filo; le
variazioni di flusso magnetico inducevano nell’avvolgimento una
proporzionale tensione elettrica variabile che poteva essere
trasformata in suono da un auricolare telefonico.
Esemplare di Telegrafono a cilindro | Valdemar Poulsen (1869-1942) |
In
quell’epoca non esistevano dispositivi elettronici in grado di
amplificare i deboli segnali generati dal microfono o recuperati
dalla testina in fase di lettura, la riproduzione era molto debole e
la qualità di riproduzione molto bassa, appena sufficiente per la
comprensione della voce umana. Circa 20 anni prima Edison aveva
inventato il fonografo che nel frattempo aveva goduto di notevoli
miglioramenti ed era già diventato un prodotto commerciale in grado
di offrire una buona riproduzione delle voci e della musica anche in
ambienti grandi e per un certo numero di ascoltatori, quindi
inizialmente il telegrafono non ebbe grandi applicazioni pratiche,
limitandosi ad essere considerato poco più che una curiosità
tecnologica e uno strumento con cui fare esperimenti. Nel corso
dell'esposizione mondiale di Parigi del 1900, Poulsen registrò la
voce dell'imperatore Francesco Giuseppe d'Austria; questa
registrazione è il più antico documento sonoro che abbiamo oggi.
Nel
1906 il fisico americano Lee De Forest inventò il primo dispositivo
elettronico “attivo” in assoluto: un tubo termoionico derivato dal
diodo di Fleming (1904) ma dotato di un terzo elettrodo, detto
griglia di controllo. Applicando un debole segnale elettrico a
questo elettrodo, era possibile ritrovarlo notevolmente aumentato in
ampiezza su un resistore attraversato dalla corrente circolante nel
circuito dell’anodo. Il dispositivo amplificatore venne denominato
“triodo” (dal greco “tre strade” con riferimento ai tre elettrodi
presenti nell’ampolla di vetro: anodo, catodo e griglia di
controllo); ben presto venne prodotto industrialmente ed ebbe una
diffusione rapidissima nel campo della nascente radiotelegrafia,
consentendo in pochi anni la realizzazione di apparati in grado di
trasmettere a distanza la voce umana.
Lee De Forest (1873-1961) inventore del triodo | Uno dei primi tubi elettronici di commercio |
Poulsen continuò a lavorare al miglioramento
della sua invenzione. Avvolse
il
filo d’acciaio non più su un cilindro ma su un rocchetto, con un
meccanismo a orologeria che provvedeva a far girare un secondo
rocchetto di raccolta per trascinarlo davanti alla testina
magnetica.
Telegrafono con filo avvolto su rocchetto sostituibile
La disponibilità delle valvole amplificatrici
permisero di ottenere un suono di intensità superiore; proseguendo
con i suoi esperimenti Poulsen scoprì inoltre che sovrapponendo al
segnale registrato una debole corrente continua inizialmente, ed un
segnale generato da un oscillatore a frequenza supersonica in un
secondo tempo, la qualità della riproduzione aumentava notevolmente.
Questo consentì di realizzare un apparato finalmente utilizzabile in
pratica, e l'invenzione così aggiornata cominciò a diffondersi
soprattutto per l’uso negli uffici come dittafono, dove risultava
decisamente più versatile del sistema a rullo di cera inventato da
Edison grazie alla possibilità di cancellare e registrare più volte
il supporto.
Negli stessi anni andava sviluppandosi in modo
rapidissimo anche la radio, gli apparecchi riceventi stavano
iniziando ad entrare nelle case e nascevano le prime emittenti
radiofoniche che producevano programmi destinati al pubblico. Non
esistendo macchine in grado di registrare voci e suoni in modo
pratico e con una qualità adeguata alla trasmissione radiofonica, la
totalità dei programmi veniva trasmessa in diretta. In questo
contesto, nacque quindi l’esigenza di un apparato in grado di
registrare voci e suoni in modo più semplice rispetto all’incisione
di un disco fonografico e possibilmente con una qualità e una durata
superiore (non dimentichiamo che all’epoca non esistevano i dischi
microsolco, la durata di una registrazione su disco era dell’ordine
di 3-4 minuti al massimo).
Nel 1930, il tecnico tedesco Kurt Stille acquista i diritti dei brevetti di Poulsen e realizza un registratore di dimensioni enormi e qualità sonora finalmente adeguata alle trasmissioni radiofoniche. La macchina viene prodotta in Inghilterra dalla Marconi Co. ed assunse la denominazione di registratore Marconi-Stille.
La parte meccanica deputata al trasporto del
nastro era separata dall’elettronica, contenuta nei mobiletti
visibili sul lato destro della foto. Il filo magnetico era stato
rimpiazzato da una robusta banda di acciaio per tentare di risolvere
il problema delle frequenti rotture causate dalle irregolarità di
avvolgimento, il trascinamento avveniva a velocità costante (cosa
impossibile da ottenere con la trazione del filo da parte del
rocchetto avvolgitore) facendo passare il nastro tra l’albero di un
motore sincrono e una ruota di gomma, infine il notevole progresso
dei tubi elettronici e dei relativi circuiti aveva permesso di
realizzare un sistema di amplificatori di registrazione e
riproduzione in grado di garantire una qualità del suono superiore
ai dischi e più che adeguata per la trasmissione radiofonica.
Come si può vedere dalla foto, il registratore
di Stille era di dimensioni enormi.
Per garantire una buona qualità di registrazione il nastro
d’acciaio doveva scorrere a velocità decisamene elevata: ben
La vera svolta tecnologica, che portò alla
nascita del primo registratore a nastro così come lo conosciamo
nell’era moderna, si ebbe nel 1933 con l’invenzione, ad opera del
tecnico austriaco Fritz Pfleumer in collaborazione con il centro di
ricerca della AEG, del nastro magnetico vero e proprio. La prima
versione era costituita da una striscia di carta sulla quale era
stato depositato e incollato un impasto di ossido di ferro marrone.
Le sue proprietà ferromagnetiche erano molto inferiori a quelle
della striscia di acciaio usata nei Marconi-Stille, tuttavia la
tecnologia dell’epoca permetteva di realizzare testine e circuiti
amplificatori sufficientemente performanti per poter trattare i
debolissimi segnali che questo nastro era in grado di generare, e
fin dai primi esperimenti fu chiaro che quella del nastro era la
strada giusta da seguire per sviluppare un registratore finalmente
non confinato a pochissimi settori di impiego. Il prototipo aveva
dimensioni estremamente ridotte rispetto al Marconi Stille,
prestazioni decisamente superiori e soprattutto una semplicità di
installazione e utilizzo impensabili fino a quel momento.
Fritz
Pfleumer nel 1933, con il suo prototipo di registratore a nastro
magnetico costruito nei laboratori AEG.
Nel 1935
"Magnetofon" Telefunken (1935) | Interno del "Magentofon" |
In quegli anni in Germania si assisteva alla
presa del potere da parte del nazismo e di Hitler. Nastro magnetico
e registratori vennero subito considerati come prodotti strategici
dell’industria tedesca e coperti dal segreto militare. Rimasero
quindi confinati alla Germania, che li utilizzò tra l’altro nelle
stazioni radiofoniche per la trasmissione dei discorsi
propagandistici di Hitler mettendo in seria difficoltà i servizi di
spionaggio alleati, che non riuscivano a comprendere come il Fuherer
potesse trasmettere un discorso da una città mentre le informazioni
in loro possesso ne segnalavano la presenza altrove. Si trattava in
realtà di discorsi registrati con una qualità elevata al punto di
rendere la trasmissione indistinguibile da una diretta, ma questo
fuori dalla Germania non poteva essere compreso in quanto i sistemi
di registrazione su disco o su filo d’acciaio conosciuti non
permettevano di raggiungere simili risultati.
Nel 1939 venne fatta in uno studio appositamente
allestito nella sede della BASF la prima registrazione di musica
sinfonica, per collaudare un nuovo tipo di nastro magnetico ad alte
prestazioni con lo strato di supporto in acetato in luogo della più
fragile carta usata fino a quel momento.
Nel corso della seconda guerra mondiale, i laboratori AEG continuarono lo sviluppo del registratore a nastro, arrivando nel 1943 alla realizzazione di un modello stereofonico operante alla velocità di 76 cm/s con una risposta in frequenza che raggiungeva i 15.000HZ e una dinamica di almeno 60dB, quindi in grado di offrire una riproduzione musicale che potrebbe essere considerata anche oggi "ad alta fedeltà".
Nel resto del mondo, ignaro dei progressi
ottenuti dai tecnici tedeschi, la registrazione magnetica procedeva
a rilento. La tecnologia del filo d’acciaio era abbastanza
consolidata e aveva quasi raggiunto i suoi limiti, che la
confinavano all’uso come dittafono da ufficio o per registrazioni di
qualità bassissima. Nel
Registratore a filo della Webster Chicago (1940) | Altro modello di registratore a filo Webster |